Nella macchia della Magona: differenze tra le versioni

Da La California Italiana.
(Nella macchia della Magona)
(Nella macchia della Magona)
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* Il sentiero dei vecchi mestieri (percorso azzurro): una breve escursione sul sentiero che scende attraverso il boscodi lecci per scoprire le tracce lasciate nei secoli dagli abitanti del posto. Qui troviamo: la vecchia porcareccia, la capanna dei boscaioli, la carbonaia e l’antico mulino ad acqua.
 
* Il sentiero dei vecchi mestieri (percorso azzurro): una breve escursione sul sentiero che scende attraverso il boscodi lecci per scoprire le tracce lasciate nei secoli dagli abitanti del posto. Qui troviamo: la vecchia porcareccia, la capanna dei boscaioli, la carbonaia e l’antico mulino ad acqua.
 
* Il sentiero del bosco (percorso rosso): Un’escursione nel folto del bosco che inizia con l’invito a scoprirne iprofumi, prosegue sul sentiero del forteto e, attraversato il piccolo torrente, si ferma a contemplare glialberi. Tra vecchi ruderi si scoprono antiche leggende, sul torrente i piccoli animali che lo abitano edinfine l’energia delle piante nel vecchio bosco ceduo.
 
* Il sentiero del bosco (percorso rosso): Un’escursione nel folto del bosco che inizia con l’invito a scoprirne iprofumi, prosegue sul sentiero del forteto e, attraversato il piccolo torrente, si ferma a contemplare glialberi. Tra vecchi ruderi si scoprono antiche leggende, sul torrente i piccoli animali che lo abitano edinfine l’energia delle piante nel vecchio bosco ceduo.
 
  
 
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Versione delle 09:55, 28 set 2022

Indice

Nella macchia della Magona

Nella Macchia della Magona è un percorso di esplorazione da intraprendere da soli o accompagnati da una guida per immergersi nella natura e nella storia di questa fantastica foresta.

Venite a visitare la Macchia della Magona a Bibbona (LI).

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Dall’area attrezzata di Casetta Campo di Sasso, si parte per la scoperta seguendo piste e sentieri che si inoltrano nel bosco. Scoprirete caratteristiche e curiosità e troverete 15 punti d’interesse con altrettante bacheche illustrative ed alcune installazioni che faciliteranno la “lettura del luogo”.

Attualmente sono operativi i primi 3 percorsi. Ciascun percorso è suddiviso in un certo numero di tappe caratterizzate da cartelli informativi ed installazioni.

  • Il sentiero panoramico (percorso verde): una facile passeggiata che segue la strada delimitata da un bel filaredi cipressi sulla quale troviamo quattro punti di interesse che ci invitano a: riconoscere gli alberi al tatto - scoprire le abitudini dei cinghiali , guardare il bosco dalla grande finestra e osservare il bel paesaggio toscano attraverso“l’arco puntatore”.
  • Il sentiero dei vecchi mestieri (percorso azzurro): una breve escursione sul sentiero che scende attraverso il boscodi lecci per scoprire le tracce lasciate nei secoli dagli abitanti del posto. Qui troviamo: la vecchia porcareccia, la capanna dei boscaioli, la carbonaia e l’antico mulino ad acqua.
  • Il sentiero del bosco (percorso rosso): Un’escursione nel folto del bosco che inizia con l’invito a scoprirne iprofumi, prosegue sul sentiero del forteto e, attraversato il piccolo torrente, si ferma a contemplare glialberi. Tra vecchi ruderi si scoprono antiche leggende, sul torrente i piccoli animali che lo abitano edinfine l’energia delle piante nel vecchio bosco ceduo.
I percorsi, 2022

Primo percorso. Il sentiero panoramico

Ricoscere gli alberi al tatto

Toccare gli alberi fa bene, la scienza conferma. Toccare gli alberi fa bene alla salute. È quanto sostiene Matthew Silverstone, autore del saggio Blinded by Science, Bendati dalla scienza ufficiale. Per ottenere benefici non è necessario toccare gli alberi, basta essere nelle vicinanze. Abbracciare gli alberi, un’idea della hippy generation molto criticata, è ora provata in modo scientifico: contrariamente alle credenze popolari, toccare un albero rende più sani. Per stare meglio non importa neppure toccarlo, l’albero: il solo essere nelle sue vicinanze ha lo stesso effetto. Parola di Matthew Silverstone, autore del saggio Blinded by Science, Bendati dalla scienza ufficiale.

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Tesi: tutto vibra, dal nucleo di un atomo alle molecole del nostro sangue e del nostro cervello. Suoni, piante, animali. Fino allo spazio esterno. Una volta compreso questo principio di base, tutto diventa improvvisamente chiaro: se applichiamo questa teoria al mondo intorno a noi, ci stupiremo di cosa potremo imparare.

Blinded by Science spiega come smettere di essere accecati dalla scienza, e offre una teoria che, se applicata a fattori come l’acqua, le piante, il sole e la luna, sembra avere un senso perfetto. Così, Silverstone prova scientificamente che gli alberi migliorano molti aspetti della salute: malattie mentali, disturbo di deficit di attenzione e iperattività (Adhd), livelli di concentrazione, tempi di reazione, depressione, emicranie. Innumerevoli studi – riferisce il blog Informare per Resistere – hanno dimostrato che i bambini mostrano effetti psicologici e fisiologici significativi in termini di salute e benessere quando interagiscono con le piante. Studi che dimostrano che i bambini stanno meglio, cognitivamente ed emotivamente, in ambienti verdi”.

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I piccoli “giocano in modo più creativo” se si trovano nel bel mezzo di un bosco. Una indagine sulla salute pubblica, programmata per studiare l’associazione tra spazi verdi e salute mentale, conclude che “l’accessibilità a spazi verdi può significativamente contribuire alle nostre capacità mentali e al nostro benessere”. Quale può dunque essere l’aspetto della natura che può avere effetti così significativi? “Fino ad ora si è pensato che fossero gli spazi aperti, ma Matthew Silverstone mostra che non si tratta di questo”. Piuttosto, il ricercatore inglese “prova scientificamente che sono le proprietà vibrazionali degli alberi e delle piante a darci i benefici in termini di salute, non gli spazi verdi e aperti”. La risposta a come piante ed alberi ci influenzino fisiologicamente sembra dimostrarsi molto semplice: “È tutto dovuto al fatto che ogni cosa ha una vibrazione, e differenti vibrazioni influenzano i comportamenti biologici”.

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È stato provato che, se beviamo un bicchiere di acqua trattato con una vibrazione di 10Hz, il nostro tasso di coagulazione sanguigna cambia immediatamente con l’ingestione dell’acqua trattata. Per Silverstone, accade lo stesso con le piante: “Quando tocchiamo un albero, la sua diversa vibrazione influenzerà vari comportamenti biologici del nostro corpo”. Questa idea 'vibrazionale', - spiega “Informare per Resistere” - è supportata nel libro da centinaia di studi scientifici, “che forniscono prove schiaccianti che l’abbracciare gli alberi non è una pazzia: non solo fa bene alla nostra salute ma può anche far risparmiare molti soldi ai nostri governi, offrendo una forma di trattamento alternativa e gratuita”. Secondo l’indagine, “spazi verdi e sicuri possono essere efficaci quanto una prescrizione medica nel trattare alcune forme di malattia mentale”. E se i medici, d’ora in poi, trattassero alcuni disturbi suggerendo una passeggiata nel parco piuttosto che una scatola di pillole? Articolo tratto da LIBRE Dal sito: www.ilcambiamento.it

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I Funghi del legno Fuscoporia torulosa: Corpo fruttifero a forma di conchiglia, ha superficie rugosa di colore bruno-arancio, bruno ruggine; margine tomentoso, arrotondato, di colore più chiaro. I tubuli hanno struttura a strati, tanti quanti gli anni di vita del fungo, sono di color cannella, bruno olivacei, bruno-rugginosi, i pori sono tondi e piccoli (5-6 per mm), cono concolori ai tubuli; il contesto è 1-3 cm, ma nel punto di fissaggio alla pianta ospite può essere considerevolmente più spesso; la carne è molto consistente, suberosa, porosa, tenace: non è commestibile. Dal sito www.talmamax.it/lignicoli.htm

La tana del Tasso Il tasso vive prevalentemente sotto terra, in tane da lui scavate attraverso le potenti unghie; riesce a realizzare una fitta rete di cunicoli, allargando la propria tana in più piani. All’interno delle gallerie scavate possiamo trovare diverse camere, una per i genitori, uno per i piccoli, e diverse uscite, per poter scappare dall’attacco di eventuali predatori. In basse altitudini l’animale non va in letargo, abbassando però di molto l’attività quotidiana, ma in latitudini dove il clima è più rigido il tasso si abbandona in un vero letargo; nei periodi precedenti alle prime nevi si nutre parecchio per accumulare grasso per resistere alle fredde temperature, e recupera materiale per foderare la sua tana, fatto di terriccio, foglie e sterpaglie. Quando è il momento, circa a Novembre, entra nella tana, chiude ogni boccaporto con il materiale recuperato e cade in un sonno profondissimo fino a 5 mesi circa, abbassando la temperatura corporea ed usando il grasso accumulato per sopravvivere fino al risveglio, verso Aprile. Mamma e papà tasso possono vivere assieme per molto tempo, fino a vent’anni, tempo che utilizzeranno per sistemare le loro gallerie al meglio rendendole confortevoli con erbe, muschi e sterpaglie; la tana del tasso è di fondamentale importanza nel periodo freddo, infatti durante l’inverno l’animale dorme parecchio uscendo raramente solo per dissetarsi. In alcune uscite notturne il tasso non rientra fino alla mattina successiva. Dal sito: www.laforzadeglianimali.it

Scarica qui la scheda: Ricoscere gli alberi al tatto, 2022

Ricoscere gli alberi al tatto, 2022

L'insoglio del cinghiale

1) Il cinghiale è sempre esistito in Italia? Il cinghiale è una specie tipica della fauna europea e italiana, originariamente diffusa in gran parte della penisola. A partire dalla fine del 1500 la persecuzione diretta operata dall’uomo, accentuata dalle trasformazioni ambientali e dalla diffusione delle armi da fuoco, ha provocato una progressiva diminuzione del cinghiale che, all’inizio del XX secolo, sopravviveva con nuclei isolati solo nelle regioni tirreniche del centro e del sud Italia, nel Gargano e in Sardegna. La specie è ricomparsa sull’arco alpino nel 1919, quando alcuni animali provenienti dalla Francia colonizzarono Liguria e Piemonte; agli Anni ’50 risalgono invece gli ingressi di cinghiali in Friuli, provenienti dalla Slovenia. Dal secondo dopoguerra l’espansione della specie è stata fortemente favorita dall’intervento dell’uomo, attraverso le numerose immissioni a scopo venatorio, e oggi il cinghiale risulta distribuito senza soluzione di continuità nelle isole e dalla Calabria sino all’arco alpino occidentale, mentre nelle Alpi centro-orientali la sua presenza è ancora discontinua.

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2) Quanti cinghiali ci sono oggi in Italia?Non esistono dati certi sul numero complessivo di cinghiali presenti nel nostro Paese, anche a causa delle difficoltà tecniche e i costi considerevoli che comporterebbe la stima assoluta delle consistenze. A partire dal numero di animali abbattuti è stata recentemente ricavata una stima approssimativa compresa tra 600.000 e 1.000.000 di cinghiali presenti sull’intero territorio nazionale.

3) Quali sono i motivi dell’espansione e del notevole incremento del cinghiale degli ultimi decenni?Le cause che hanno favorito l’espansione e la crescita delle popolazioni sono molteplici. Un ruolo determinante hanno avuto le massicce immissioni di cinghiali a scopo venatorio, iniziate negli Anni ’50 con soggetti catturati all’estero e proseguite con animali provenienti da allevamenti nazionali. Importante è risultato anche il progressivo spopolamento di vaste aree montane e rurali, con la conseguente diminuzione della persecuzione diretta e il recupero del bosco in zone precedentemente utilizzate per l’agricoltura e la pastorizia. A queste di origine antropica si aggiungono cause di tipo naturale come l’intrinseca elevata capacità di colonizzare nuovi ambienti, l’enorme potenziale riproduttivo della specie e le condizioni climatiche divenute mediamente più favorevoli e pertanto meno limitanti.

4) È vero che i cinghiali che attualmente vivono in Italia sono ormai geneticamente “inquinati” a causa delle introduzioni di razze dall’Europa centro-orientale?La diffusa convinzione che le ripetute introduzioni di cinghiali provenienti dai paesi centro europei e balcanici abbiano causato la scomparsa del cinghiale originario “italiano” o “maremmano” non trova conferma negli studi di genetica più recenti. I risultati delle ricerche dimostrano che il cinghiale nostrano presente oggi in Italia conserva ancora una buona porzione del patrimonio genetico originario, sebbene i segni dell’incrocio con cinghiali di provenienza estera emergano in diverse aree del Paese. Le ricerche, inoltre, se da un lato confermano il netto differenziamento della popolazione sarda, dall’altro pongono seri dubbi circa l’esistenza del cosiddetto “cinghiale maremmano”, le cui rinomate piccole dimensioni e limitata capacità riproduttiva si potrebbero ricondurre alle condizioni climatiche e ambientali tipiche della maremma toscana e laziale in cui la specie era sopravvissuta all’inizio del XX secolo.

5) È vero che molte popolazioni selvatiche di cinghiale sono ibridate col maiale?Il maiale deriva da un processo di domesticazione del cinghiale avvenuto indipendentemente in diverse aree del continente eurasiatico durante il Neolitico (circa tra 12.000 e 3.000 anni a.C.). La comune origine rende possibile l’accoppiamento tra le due forme e la produzione di ibridi fertili. L’ibridazione può avvenire in natura, laddove siano presenti maiali allo stato brado (es. in Sardegna) oppure può essere indotta dall’uomo in cattività. L’incrocio con i maiali allo scopo di incrementare il potenziale riproduttivo (maggiore numero di gravidanze e numerosità delle cucciolate) e le dimensioni dei cinghiali allevati, appare come la causa primaria della diffusione di geni domestici nella popolazione selvatica. Non è tuttavia ancora chiaro quali ne siano le ripercussioni ecologiche. I segni dell’ibridazione sono spesso visibili nella morfologia (es. colore del mantello), ma meno evidenti a livello genetico a causa di una rapida diluizione dei geni domestici nella popolazione selvatica nelle generazioni successive all’incrocio.

6) È vero che il cinghiale partorisce due volte all’anno e anche di più?Il cinghiale è l’ungulato più prolifico ed il suo periodo riproduttivo, a differenza delle altre specie, si distribuisce su vari mesi fino all’intero anno, con un picco delle nascite in primavera. Il periodo riproduttivo del cinghiale è legato al ciclo estrale che ha cadenza mensile e si interrompe solo durante la gestazione e l’allattamento. Gli incrementi annuali sono influenzati dalla disponibilità di alimento, dal clima e dalle caratteristiche della popolazione. La maturità sessuale delle femmine è condizionata dal raggiungimento di un peso-soglia di circa 30 kg e non dall’età: anche femmine di età inferiore all’anno (dai 7 mesi) che abbiano raggiunto il peso-soglia possono riprodursi. In anni in cui la disponibilità alimentare è elevata e le condizioni ambientali sono favorevoli, un numero maggiore di femmine si riproduce e le cucciolate sono di dimensioni maggiori (in media 4-6 animali). Quando le condizioni ambientali o climatiche sono meno favorevoli, si riproducono solo le femmine adulte e in migliori condizioni fisiche. In alcune popolazioni si osserva un secondo picco annuale delle nascite, meno accentuato, in tarda estate–autunno dovuto alle femmine più giovani che raggiungono il peso-soglia solo in primavera. La possibilità che in condizioni ambientali favorevoli alcune femmine adulte in buone condizioni fisiche partoriscano due volte nello stesso anno, non ha mai trovato solide evidenze scientifiche ed è da ritenersi un evento possibile, data la biologia della specie, ma del tutto straordinario.

7) Quali sono gli ambienti preferiti dal cinghiale?Il cinghiale è una specie estremamente adattabile, in grado di occupare una grande varietà di ambienti, con popolazioni più o meno consistenti a seconda delle disponibilità di cibo e rifugio e delle condizioni climatiche. In Italia la miglior combinazione di questi fattori si può ritrovare in alcuni ambienti forestali come i boschi cedui o la macchia mediterranea, laddove non vi siano climi troppo siccitosi o con neve al suolo persistente. Inoltre la specie può compiere spostamenti stagionali anche di alcuni chilometri, per sfruttare ambienti occasionalmente idonei come le aree agricole con coltivazioni appetite (es. cereali o vigneti) o addirittura le aree urbane, attratto dai rifiuti o dal cibo distribuito ai gatti randagi.

8) Quanto si può spostare un cinghiale?Dotato di arti corti e aspetto tozzo, il cinghiale può essere considerato una specie sedentaria che, tuttavia, è in grado di compiere spostamenti molto importanti, anche di decine o, in casi eccezionali, di centinaia di chilometri. L’entità degli spostamenti è molto variabile e legata alle caratteristiche dell’ambiente, al sesso e all’età degli animali, alla densità di popolazione, alla disponibilità di cibo e al disturbo antropico, in particolare la caccia. Ad esempio, subito dopo i parti le femmine restringono i loro movimenti ad un’area molto ristretta (pochi ettari), che progressivamente si ampia ad alcune decine di ettari con la crescita dei piccoli, mentre maggiori sono le aree vitali necessarie ai maschi adulti (qualche centinaio di ettari). Gli individui giovani, soprattutto i maschi, tendono invece a compiere grandi spostamenti allontanandosi dal sito di nascita anche diverse decine di chilometri.

9) Cosa mangia il cinghiale?Il cinghiale è un onnivoro opportunista con tendenza frugivora, perché pur basando la dieta sul consumo dei frutti del bosco (ghiande, castagne e faggiole), si adatta a modificare anche drasticamente l’alimentazione in base alla disponibilità. La quota principale della dieta è costituita da vegetali, dei quali il cinghiale utilizza sia le parti aeree (gemme, frutti, bacche e semi, ma anche sistemi fogliari), che le parti sotterranee (radici, rizomi, tuberi). Gli alimenti di origine animale, sono quantitativamente meno importanti ma sempre presenti in tutte le stagioni. Il cinghiale ricerca attivamente soprattutto invertebrati presenti nel terreno (lombrichi, larve, ecc.), ma consuma opportunisticamente anche altre prede (piccoli Mammiferi, nidiacei, uova, anfibi, ecc.) o carcasse di altri animali. Quando le risorse naturali sono scarse, le produzioni agricole risultano particolarmente attrattive e possono arrivare a rappresentare la quota più importante della dieta.

10) È vero che la presenza del lupo è in grado di limitare il numero dei cinghiali?Il lupo è il principale predatore del cinghiale in Italia, sebbene anche i cani vaganti (randagi o padronali), siano in grado di predare occasionalmente la specie. Il cinghiale è una delle prede più frequentemente rappresentate nella dieta del lupo, che consuma anche le carcasse di cinghiali morti per altre cause. Data l’importanza della specie per il lupo, quindi, non è un caso se il cinghiale ha contribuito significativamente alla recente espansione del carnivoro nel nostro Paese. A livello europeo l’impatto del lupo sulle popolazioni di cinghiali causa una sottrazione di individui stimata tra il 4 ed il 45% della popolazione, in particolare animali giovani, cioè quelli che darebbero un contributo modesto all’incremento della popolazione. Sebbene In Italia non siano stati condotti studi specifici, i pochi dati disponibili stimano un impatto della predazione inferiore al 10%. Date le caratteristiche biologiche del cinghiale, la predazione del lupo non è ritenuta un fattore di regolazione (ovvero in grado di mantenere la densità del cinghiale a valori inferiori rispetto a quelli che si osserverebbero in assenza di predazione) e il suo effetto è considerato essenzialmente compensatorio (ovvero gli animali predati morirebbero comunque in assenza di predazione a causa di altri fattori di mortalità). Più che limitare il numero di cinghiali, si ritiene quindi che il lupo contribuisca a mantenere in buone condizioni le popolazioni, sottraendo gli individui più deboli o in peggior stato di salute.

11) Il cinghiale è in grado di provocare impatti sulla biodiversità?Il cinghiale è una specie capace di provocare profondi cambiamenti, in particolare, agli ecosistemi forestali e prativi. Onnivoro e opportunista, scavando alla ricerca del cibo, può alterare profondamente le caratteristiche del suolo e del manto vegetale, accelerando i processi di decomposizione della sostanza organica del suolo stesso. Il cinghiale è inoltre in grado di consumare un gran numero di specie di animali terrestri e acquatici. Non va tuttavia dimenticato che è stato l’uomo a rendere il cinghiale una presenza “problematica” anche per la biodiversità; infatti gli impatti più significativi sulla biodiversità sono stati registrati in aree in cui il cinghiale è stato introdotto, in quanto specie non nativa, o dove è stato favorito l’innaturale aumento delle densità. Infine occorre ricordare che se da un lato il cinghiale costituisce una minaccia per la conservazione di determinate specie, dall’altro può avere, in alcuni contesti, un effetto positivo, ad esempio contribuendo all’aumento della biodiversità floristica.

12) Quali e quanti sono i danni che il cinghiale causa alle attività umane?Quando le risorse naturali risultano insufficienti o più difficilmente accessibili, il cinghiale, grazie alla sua adattabilità, non esita ad utilizzare risorse di origine antropica, causando danni diretti e indiretti ad agricoltura e zootecnia. I danni all’agricoltura, provocati da consumo diretto, attività di scavo e calpestio, sono molto variabili, a seconda delle disponibilità di risorse naturali, ma anche della morfologia del paesaggio e dell’assetto agronomico. Il cinghiale è in grado di danneggiare praticamente tutti le tipologie colturali, dai prati pascolo ai cereali e alle produzioni ortofrutticole, arrivando talvolta a compromettere porzioni molto rilevanti del raccolto. In Italia non si hanno dati esaustivi sull’impatto del cinghiale sull’agricoltura, ma stime recenti indicano la specie quale responsabile del 90% dei 10 milioni di Euro di danni causati all’anno dagli Ungulati. La zootecnia, oltre a risentire del deterioramento delle aree pascolive e sottrazione di foraggi, può essere interessata da infezioni in grado di ridurre la produttività zootecnica o, nei casi più critici, determinare l’applicazione di misure obbligatorie di polizia veterinaria quali l’abbattimento di tutti gli animali presenti negli allevamenti infetti o il blocco delle movimentazioni di animali e loro derivati dall’area interessata dall’infezione.

13) Si possono prevenire i danni causati dal cinghiale?I vari sistemi di prevenzione dei danni da cinghiale ricorrono a dissuasori di tipo chimico (olfattivi o gustativi), acustico (i cosiddetti “cannoncini” o altre fonti sonore più diversificate) o a barriere meccaniche o elettriche. L’efficacia e il costo di applicazione dei diversi sistemi variano in relazione alle modalità di applicazione e alle caratteristiche delle colture da proteggere; quindi la scelta va fatta valutando con attenzione il rapporto tra costi e benefici. Il sistema più diffuso e meno impattante sull’ambiente prevede l’installazione di recinzioni elettrificate, attive tutto l’anno o nei periodi di effettivo pericolo. Dato che la specie non corre rischi dal punto di vista conservazionistico, i danni alle attività antropiche possono essere limitati anche attraverso una programmazione del prelievo venatorio finalizzata a tale obiettivo.

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14) Si può limitare il numero di cinghiali tramite il controllo della fertilità?Il controllo della fertilità può essere attuato mediante sterilizzazione chirurgica o vaccini contraccettivi. La sterilizzazione chirurgica, implicando cattura, intervento chirurgico e decorso post-operatorio degli animali, determina elevati sforzi economici e logistici. Allo stato attuale sono disponibili solo vaccini contraccettivi la cui somministrazione può avvenire tramite iniezione, rendendo necessaria la cattura degli animali al fine di iniettargli la corretta dose di vaccino; ciò comporta evidenti limiti sul numero di animali trattabili. Inoltre i vaccini attualmente disponibili non garantiscono un’efficacia illimitata nel tempo ed è possibile che gli animali trattati riprendano a riprodursi. Indipendentemente dalla tecnica e dai vaccini utilizzati, per garantire una riduzione rilevante della capacità riproduttiva del cinghiale, è necessario sterilizzare in poco tempo la stragrande maggioranza delle femmine di una popolazione. Tale obiettivo è ad oggi impossibile da raggiungere nelle popolazioni a vita libera per evidenti motivi di ordine pratico ed economico.

15) Qual è l’effetto della caccia sulle popolazioni di cinghiale?La caccia al cinghiale in Italia si svolge prevalentemente con il metodo della “braccata”, in cui una muta di cani, spesso molto numerosa e condotta da pochi cacciatori, spinge i cinghiali verso i tiratori posizionati tutto attorno all’area di caccia. La caccia in braccata, a differenza della mortalità naturale, si concentra sugli individui adulti (in particolare maschi e giovani), e provoca un’alterazione della struttura naturale delle popolazioni, abbassando progressivamente l’età media degli animali. Il disturbo provocato da questa forma di caccia altera il comportamento dei cinghiali che, oltre a diventare più schivi e attivi quasi solo di notte, possono arrivare a spostarsi anche per decine di chilometri. L’aumentata mobilità degli individui e la destrutturazione delle popolazioni possono influenzare la dinamica di trasmissione delle infezioni, favorendone il mantenimento nelle popolazioni di cinghiale o incrementandone diffusione (anche ai domestici e all’uomo).

16) Il cinghiale è un pericolo per l’uomo?Il cinghiale è una specie elusiva generalmente non pericolosa per l’uomo. Gli attacchi diretti all’uomo sono rari ma talvolta in grado di causare ferite anche letali, e sono provocati per lo più dalla reazione di animali feriti nel corso di un’azione di caccia. Attacchi si possono verificare anche nel periodo riproduttivo o di allevamento della prole, come risposta aggressiva ad una situazione che l’animale percepisce come pericolosa. Anche l’interazione tra cinghiale e cani padronali non tenuti al guinzaglio può rivelarsi pericolosa nel caso in cui il padrone intervenga a protezione del proprio cane. Il pericolo più consistente per l’uomo deriva tuttavia dalle malattie che il cinghiale è in grado di trasmettere (zoonosi). Tra le principali malattie trasmissibili troviamo la trichinellosi che è una malattia parassitaria che viene contratta consumando carni crude o poco cotte di soggetti infestati. Esistono inoltre ulteriori malattie, quali Brucellosi, Epatite E e tubercolosi, il cui rischio di trasmissione si limita mediante una adeguata formazione dei cacciatori al trattamento dei capi abbattuti e al rispetto delle norme ispettive e igieniche.


Scarica qui la scheda: L'insoglio del cinghiale, 2022
L'insoglio del cinghiale, 2022

Una finestra sulla macchia

La Macchia della Magona per secoli è stata anche un luogo di lavoro per gli abitanti di Bibbona, nei primi anni 50 del secolo scorso si contavano ancora circa cento boscaioli all’opera nel taglio della legna e nella produzione del carbone.

Oggi è presente una capillare rete di itinerari naturalistici costituiti da circa 54 km di sentieri individuabili attraverso la cartina fornita dalla Proloco e dagli Uffici Turistici del Comune di Bibbona, oppure consultabili e scaricabili al seguente link: Itinerari della Costa degli Etruschi

I percorsi, che attraversano tutto il bosco, raggiungono punti panoramici molto spettacolari.

La Macchia della Magona vista dalle Golazze aperte

Durante l’anno vengono organizzate visite guidate ed escursioni e durante il periodo estivo, piccole serate nel bosco.


La Magona offre anche la possibilità di praticare una particolare attività outdoor: l’antica arte del tiro con l’arco, una disciplina non competitiva che prevede l’utilizzo di archi tradizionali e frecce in legno
Tiro con l'arco

Ecco alcuni link utili:


Scarica qui la scheda del percorso: Una finestra sulla macchia, 2022

Una finestra sulla macchia, 2022

Bibbona ed il paesaggio toscano

Bibbona ed il paesaggio toscanoIl tipico paesaggio toscano, è uno scenario dolce e equilibrato, coltivato con sapienza ed ordine, protetto nella sua originaria bellezza; è nello stesso tempo un modello di insediamento razionale un opera d’arte naturale. Se si studia attentamente il paesaggio toscano si ravvisa una singolare capacità dell’uomo di suddividere il suolo in una perfetta geometria di campi, ad armonizzare le masse di colore, che alternano l’oro delle messi al verde dei boschi, i filari delle viti e le zone degli uliveti, i casolari e i villaggi con le belle ville e i loro giardini all’italiana.

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All’inizio del 1500 Leonardo da Vinci realizzò la “mappa della Toscana occidentale a volo d'uccello”, ovvero con una prospettiva dall'alto, come se l'artista stesse sorvolando le zone. Dal particolare, si vede il paese di Bibbona, la costa disabitata e buona parte della pianura ancora occupata dalle paludi.

Carta a volo d'uccello della Toscana occidentale, Leonardo da Vinci, 1503

Il paesaggio che osserviamo oggi è invece il risultato delle modifiche apportate per secoli dall’azione umana: la grande pineta costiera, piantata per proteggere dal vento salmastro le terre bonificate, le cittadine sulla costa e più nell’interno, le zone agricole con i vecchi poderi che, anche se alcuni trasformati in agriturismi e resort, conservano ancora gran parte del loro caratteristico mosaico di coltivazioni.

Paesaggio 4.PNG

Con l’aiuto del puntatore ad arco possiamo individuare la posizione dei paesi vicini e dei luoghi che si vedono dal punto panoramico di Poggio Cavaliere

Il puntatore

Il paese di Bibbona, di cui vediamo bene la Rocca, ha origini etrusche alle quali risale un’originale statuetta bronzea di un capro, diventata simbolo del paese, ed oggi conservato nel Museo Archeologico di Firenze.

La riproduzione del Caprone di Bibbona davanti la Chiesa di S. Maria della Pietà a Bibbona

Si racconta che nel medioevo, Bibbona fosse uno dei castelli più forti della Maremma, cinto da mura turrite e difeso da un profondo fosso. Evidenti anche i legami con l'agricoltura, infatti secondo uno statuto del 1400, i capo famiglia erano tenuti a piantare ogni anno almeno un olivo e due alberi da frutto ed anche a fare l'orto

Bibbona vista dalla sua campagna

Qui puoi trovare alcuni link utili per approfondire la storia di Bibbona:

Scarica qui la scheda: Bibbona ed il paesaggio toscano, 2022

Bibbona ed il paesaggio toscano, 2022

Secondo percorso. Il sentiero dei vecchi mestieri

La porcareccia

Le porcarecce erano edifici coperti e recintati, costruiti in maniera piuttosto rudimentale, che servivano per la rimessa e la custodia dei maiali, quando in passato venivano portati a pascolare direttamente nelle zone dove abbondavano le ghiande. A sera, tutti i maiali venivano fatti entrare e custoditi in questi fabbricati, non solo con lo scopo di essere riparati e difesi dal freddo, ma anche per evitare che durante la notte si potessero allontanare dal territorio assegnato.

Curiosità: per tutto il millennio medievale le mandrie di maiali venivano allevati in stato di semilibertà nei boschi. Questa forma di allevamento era talmente importante che i boschi venivano “misurati” in base al numero di maiali che potevano nutrire. Molti documenti ci mostrano il guardiano dei porci battere con un bastone un faggio o, più frequentemente una quercia, per farne cadere i frutti tra le golose grife delle mandrie.

I maiali del Medioevo erano però ben diversi da quelli attuali. Erano piccoli, magri, snelli, abituati alla vita dei boschi e incrociati con i cugini selvatici; cinghiali. Dai documenti iconografici emergono numerosissime razze dai mantelli rossi, neri, bianchi, maculati o cintati.

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Le parole sono rivelatrici di entità superiori. E di sensi e di significati complessi. Partiamo quindi dalle parole per cercare di comprendere quest’animale che ci è sempre stato così vicino e vitale alla nostra sopravvivenza. Lo abbiamo mal ripagato, proprio a partire dalle parole.

“Maiale”è un epiteto che pochi gradiscono. E’ ritenuto ingiurioso, offensivo, molto più di altri epiteti animaleschi e rivelatore della nostra indiscutibile e “vergognosa” vicinanza al nobile suino.

“Porco” è caricato di valenza ancor più negativa, di passioni inconfessabili, di frequentazioni licenziose o decisamente illecite, di piaceri disdicevoli e nefandi, di perversa immoralità. Se usato come aggettivo connota della più grave negatività il sostantivo al quale si riferisce, fino agli estremi insulti della blasfemia.

Ancor peggio se analizziamo la versione femminile. Accanto all’ingenuo ed innocuo “scrofa”, troviamo il ben più pesante “troia”, dall’inequivocabilmente negativa connotazione sessuale. Un poco più morbida, quasi ammiccante la definizione di “porca”. Anche riferita alla progenitrice Eva più che un insulto sembra un intercalare di un monologo mentale, quasi una licenza poetica. Ma una “porcata” è veramente qualcosa di riprovevole.

Ripiombiamo comunque nel greve con “troiaio” e “troiata” anche se con connotazione più bonaria rispetto al vocabolo primitivo. Ritorniamo alla leggerezza e quasi gaiezza con “porcella” e “porcellina” quasi che diminutivi e vezzeggiativi rendano più leggiadro il senso ultimo attribuito al vocabolo.

Maggior tranquillità sembrano annunciare i “porci comodi” ma con borghese riprovazione per una vita non economicamente attiva e dedicata ai piaceri. Questo vale per l’intera babele delle lingue. Valga per tutte l’insultante “pig” che gli inglesi affibbiano al poliziotto.

Nominiamo ciò che amiamo, nominiamo ciò che temiamo. Dare un nome ci rassicura e avvicina ciò che appare estraneo. I molti sensi che abbiamo costruito sulle parole che denominano il “sus scrofa domesticus” sono li per dirci che questo animale ci è molto vicino, è parte della nostra storia.

Dal sito [1]

La scheda sul percorso

La capanna dei boscaioli

Fino alla fine degli anni 50 del secolo scorso, il taglio del bosco e la trasformazione della legna in carbone prevedevano che i boscaioli e i carbonai passassero alcuni mesi nel bosco, per questo si costruivano delle capanne nelle quali si riparavano. Per avere un’idea di quello che era La vita alla macchia in quegli anni è molto interessante la visione di questo documento

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Il taglio del bosco con la partecipazione degli abitanti di Tirli (GR). Telefilm RAI, tratto da un racconto (1954) di Carlo Cassola e sceneggiato da Marcello Fondato e Giuseppe Lazzari, girato in esterni, mandato in onda il 19-9-1963 nel ciclo di 9 lavori Racconti dell'Italia di oggi. E la storia semplice di un gruppo di legnaioli del Grossetano con i loro problemi, le storie individuali, i piccoli e grandi drammi intimi. E un film di taglio realistico alla Rossellini dove, l'importanza del paesaggio si coniuga con la sottigliezza psicologica dei personaggi e con la descrizione lucida e critica dei loro comportamenti.


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La scheda sul percorso

La carbonaia

La piazza la prima operazione compiuta dal carbonaio, consiste nella realizzazione o, se già esistente nella ripulitura della "piazza", lo spazio sgombro da vegetazione e perfettamente orizzontale sul quale avviene la costruzione della carbonaia. Nel processo di carbonizzazione, le caratteristiche della "piazza" rivestono un'importanza primaria. Per realizzare una combustione regolare ed uniforme, questa deve essere assolutamente orizzontale; il carbonaio quindicontrolla accuratamente la zona livellando ,"a occhio", cioè togliendo e riportando terra ove necessario. L'ampiezza della "piazza" varia in funzione della quantità di legna da carbonizzare ed alla possibilità di ricavare spazio nel pendio della montagna; posizionate più in basso rispetto ai crinali, lungo i canaioni e i fossi o negli avvallamenti della montagna, raramente vengono costruite "piazze" nuove ma si preferisce quelle vecchie dove il piano è costituito da terra già cotta, assicurando così una carbonizzazione migliore ed una maggiore resa. Se si rende necessaria la costruzione di una nuova "piazza", si cerca di rimediare all'inconveniente riportando uno strato di terra prelevata da piazze già esistenti, coperto a sua volta con terra e cenere di una "piazza" dove da poco è avvenuta la "scarbonatura".

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La scheda sul percorso

Il Mulinaccio

La scheda sul percorso

Terzo percorso. Il sentiero nel bosco

I profumi del bosco

Il Mirto, Il mirto su Wikipedia

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Il Lentisco, Il lentisco su Wikipedia

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La scheda sul percorso

Il sentiero del forteto

Salsapariglia nostrana La salsapariglia nostrana (Smilax aspera L.) è una pianta monocotiledone della famiglia delle Smilacaceae In Italia è nota anche col nome comune di stracciabraghe, stracciabrache e strazzacausi.

  • Etimologia Smilax (Smilace) era il nome di una ninfa della mitologia greca che, perdutamente e infelicemente innamorata del giovane Croco, suicidatosi perché non poteva amarla per l'opposizione degli Dei dell'Olimpo, fu trasformata in un rampicante.
  • Descrizione È una pianta arbustiva con portamento lianoso, rampicante, dal fusto flessibile e delicato, ma cosparso di spine acutissime. Le foglie, a forma di cuore, hanno i margini dentati e spinosi, e spinosa è anche la nervatura mediana della pagina inferiore. I fiori, molto profumati, sono piccoli, giallicci o verdastri, poco vistosi e raccolti in piccole ombrelle; fioriscono, nelle regioni a clima mediterraneo, da agosto ad ottobre. I frutti sono bacche rosse, riunite in

grappoli, che giungono a maturazione in autunno. Contengono semi minuscoli e rotondi. Insipide e poco appetibili per l'uomo, costituiscono una fonte di nutrimento per numerose specie di uccelli. La radice contiene numerosi principi attivi tra cui la smilacina, la salsasaponina, l'acido salsasapinico. Ha proprietà sudoripare e depurative. Può essere utilizzata in infusi e decotti per curare l'influenza, il raffreddore, i reumatismi, l'eczema. Ha inoltre proprietà espettoranti ed emetiche (se somministrata in dosi abbondanti) e gli estratti vengono usati in formulazioni galeniche per migliorare l'assorbimento dei principi attivi farmacologici.

  • Usi alimentari Nel Salento (Puglia) i germogli teneri di questa pianta vengono raccolti e utilizzati alla stregua degli asparagi selvatici, preparati previa bollitura in frittata; con le uova; sott'olio (in conserva); in insalata, lessati e conditi con olio e aceto di vino.
  • Nei media La salsapariglia è uno degli alimenti preferiti dai Puffi. Un bel video di Marco Pardini sulla Salsapariglia:

Erica arborea
  • Descrizione Ha numerosi rami, anch'essi a portamento quasi sempre eretto. Le foglie sono aghiformi, persistenti e coriacee, verde scuro, normalmente in verticilli di quattro, con margine dentellato. I fiori sono piccoli, penduli, molto numerosi, riuniti in ricche infiorescenze terminali, dal colore bianco-crema e profumati.
  • Fioritura: marzo-maggio.
  • Frutti: capsule contenenti numerosi piccoli semi.
  • Nome comune: Radica.
  • Distribuzione È distribuita in Africa settentrionale e centro-orientale, Europa meridionale, e nelle Canarie. In Italia hadistribuzione peninsulare con popolazioni presenti anche oltre lo spartiacque appenninico; è presente anche nelle isole (tipico elemento della macchia mediterranea). Utilizzi Le ramificazioni di eriche legate in fascina sono utilizzate per fare scope e infatti veniva chiamata scopiglia, e un tempo potevano costituire le coperture e le pareti di abitazioni povere e capanni. Per ottenere i bozzoli per la filatura della seta, i bachi erano posti, spesso, su rami di erica. La parte inferiore della ceppa, era "cotto" (combustione interrotta) nella carbonaia nel bosco, per ottenere un carbone ingrado di sviluppare molto calore. Il carbone da legno d'erica era richiesto nelle officine dei fabbri per la forgiatura del ferro. Il legno rossiccio di erica arborea è duro e pregiato, ed è il materiale più utilizzato nella costruzione dei fornelli da pipa. La parte utilizzata per ottenere la pipa è quella nodosa della base, in angolo, il cosiddetto "ciocco".
  • Usi dei fiori I fiori hanno interesse officinale e la pianta è medicinale. L'infuso delle sommità fiorite è ritenuto diuretico, disinfettante ed antireumatico; anticamente si credeva che avesse la virtù di guarire i morsi delle vipere. I fiori hanno anche uso apistico: è una buona pianta mellifera, cioè sono bottinati dalle api per il polline, e per ilnettare da cui ottengono un ottimo miele monoflorale, anche se, per il periodo di fioritura, ha più umidità rispetto ad altri.
Un bel video di Marco Pardini sull’erica arborea
La Faina
  • Distribuzione Con una varietà di sottospecie (Martes foina bosniaca, Martes foina bunites, Martes foina foina, Martes foina kozlovi, Martes foina intermedia, Martes foina mediterranea, Martes foina milleri, Martes foina nehringi, Martes foina rosanowi, Martes foina syriaca, Martes foina toufoeus[2]), la specie è diffusa in gran parte d'Europa (comprese Creta
e numerose isole dello Ionio e dell'Egeo), fatta eccezione per Scandinavia, Irlanda, Gran Bretagna e isole Baleari, dove peraltro una sottospecie distinta pareva vivere fino agli anni sessanta: il suo areale comprende anche l'AsiaMinore e centrale, fino alla Manciuria. Una colonia riproduttiva è stata inoltre impiantata nel Wisconsin. In Italia la sottospecie nominale è presente in tutta l'area peninsulare. Frequenta una grande varietà di ambienti, dallapianura fino a 2000 m d'altezza: predilige le aree forestali o boschive ed è comune anche in aree antropizzate, dove si adatta alle aree periferiche e rurali degli insediamenti umani, mentre evita con cura i grandi spiazzi aperti.
  • Dimensioni Misura 45–50 cm, cui vanno sommati 25 cm di coda, per un peso medio di un paio di chilogrammi. Lo studio dei resti fossili appartenenti a questa specie ha messo in evidenza una graduale ma costante diminuzione della taglia nel corso della sua evoluzione[4].
  • Aspetto Il pelo è corto e folto: sul dorso esso si presenta di colore marroncino, con tendenza a schiarirsi su muso, fronte e guance: le orecchie sono tondeggianti e orlate di bianco, mentre le zampe presentano delle "calze" di colore marrone scuro. Sulla gola e sul collo è presente una caratteristica macchia bianca o, più raramente, giallognola che si spinge fino al ventre e prosegue fino a metà della parte interna delle zampe anteriori. Si differenzia dalla martora comune per la macchia golare bianca e allungata verso il ventre (anziché giallognola e meno estesa), per le dimensioni un poco minori, le zampe e il muso più corti, le orecchie e gli occhi di dimensioni minori e in generale l'aspetto più slanciato.
  • Biologia La faina è un animale dalle abitudini squisitamente notturne: utilizza come rifugi diurni cavità o anfratti riparati in antichi ruderi, nei fienili, nelle stalle, nelle pietraie, tra le cataste di legna o nelle cavità naturali delle rocce, dalle quali esce al tramonto o a notte fatta. Si tratta di animali principalmente solitari, che delimitano un proprio territorio di estensione compresa fra i 15 e i 210 ettari: le dimensioni di quest'ultimo variano a seconda del sesso (territori dei maschi più estesi rispetto a quelli delle femmine) e della stagione (è stata riscontrata unadiminuzione invernale dell'estensione del territorio)[5] .
  • Alimentazione Si tratta di una specie tendenzialmente onnivora, che si nutre di miele (risulta immune alle punture di ape e vespa), bacche, uova (delle quali incide il guscio coi canini per poi succhiarne fuori il contenuto), e piccoli animali: la carne, tuttavia è la componente preponderante della sua dieta. Cerca il cibo principalmente al suolo, pur dimostrandosi una provetta arrampicatrice. La faina è pertanto in grado di nutrirsi di bacche, frutti, uova e nidiacei d'uccello. Per agguantare le prede di maggiori dimensioni, come fagiani e ratti, la faina dimostra una grande pazienza, appostandosi per ore nei luoghi in cui questi animali sogliono passare. Al sopraggiungere della preda, la faina le balza fulmineamente
addosso, atterrandola e finendola con un morso alla gola. Spesso l'animale procura danni alle attività umane: durante la ricerca di nidi, nidiacei e pipistrelli, tende a danneggiare i tetti delle case spostando le tegole, inoltre ha la tendenza a mettere fuori uso le automobili masticandone i tubi in gomma. Quando la faina riesce ad intrufolarsi in un pollaio o in una conigliera, poi, spesso uccide un numero di animali molto maggiore del suo fabbisogno immediato di cibo: questo comportamento, riscontrato anche in altri Mustelidi (come l'ermellino) e noto come Predazione in eccesso, ha fattonascere la credenza popolare (peraltro errata) secondo la quale questo animale si nutrirebbe principalmente, o addirittura esclusivamente, del sangue delle proprie prede.
  • Riproduzione La stagione riproduttiva cade durante l'estate: durante questo periodo gli animali perdono la loro spiccata territorialità e possono essere visti anche durante il giorno, mentre durante la notte echeggia il loro lamentoso richiamo di accoppiamento. I maschi durante il periodo riproduttivo tendono ad aumentare l'estensione del proprio territorio e ad
accoppiarsi con tutte le femmine il cui territorio si sovrapponga parzialmente col proprio. L'accoppiamento vero e proprio, che può durare oltre un'ora, avviene dopo una serie di schermaglie durante le quali la femmina rispondeaggressivamente agli approcci del maschio, che emette richiami sommessi e infine la monta mordendola ai lati del collo, dove sono presenti depositi di grasso sottocutaneo. Dopo la copula, il maschio è solito pulirsi accuratamente.La gestazione dura circa otto mesi, al termine dei quali vengono dati alla luce da uno a quattro cuccioli: tale lasso di tempo è dovuto al fatto che l'impianto dell'ovulo fecondato avviene nella primavera dell'anno successivoall'accoppiamento e l'embrione comincia a svilupparsi a partire da febbraio. I piccoli vengono svezzati attorno ai due mesi di vita: l'indipendenza completa tuttavia non viene raggiunta prima dell'anno, mentre la maturità sessuale vieneraggiunta fra i 15 mesi e i due anni e mezzo. L'aspettativa di vita in natura di questi animali è di 5-10 anni, mentre in cattività possono tranquillamente sfiorare i venti anni di vita. Da Wikipedia
La scheda sul percorso

Gli alberi

NEGLI ALBERI C’È UN MONDO D’AMORE

Tu non sai: ci sono betulle che di notte levano le loro radici, e tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano o diventano sogni. Pensa che in un albero c’è un violino d’amore. Pensa che un albero sta in un crepaccio e poi diventa vita. Te l’ho già detto; i poeti non si redimono, vanno lasciati volare tra gli alberi come usignoli pronti a morire. (Tu non sai di Alda Merini, tratto da “L’anima innamorata” ed. Frassinelli)

La nazione delle piante di Stefano Mancuso

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S. Mancuso, scienziato di fama internazionale, dirige il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale dell’Università di Firenze ed è accademico ordinario dell’Accademia dei Georgofili. La nazione delle piante, la più potente e popolosa della Terra, risulta la più importante nazione perché è quella da cui ogni altro organismo vivente dipende. Esistiamo grazie alle piante e potremo continuare ad esistere soltanto in loro compagnia.

Come possono, le piante, soccorrerci, vista la nostra incapacità a garantirci la sopravvivenza? si chiede l’autore. Esse possono proporci una vera Costituzione, otto articoli, otto pilastri fondamentali sui quali si regge la vita delle piante e quindi anche la vita di tutti gli esseri viventi. Art.1: la Terra è la casa comune della vita, la sovranità appartiene a ogni essere vivente. Art.2: La Nazione delle piante riconosce e garantisce i diritti inviolabili delle comunità naturali come società basate sulle relazioni fra gli organismi che le compongono…

Alberi sapienti antiche foreste di Daniele Zovi

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L’autore, laureato in Scienze Forestali, ha prestato servizio nel Corpo Forestale dello Stato. Attualmente è ai vertici del Comando – Carabinieri Forestale del Veneto ed è uno dei maggiori esperti in materia di fauna selvatica e profondo conoscitore di boschi e foreste. In questo volume accompagna il lettore in un viaggio attraverso i boschi per ascoltare, osservare e riconoscere le varietà del popolo verde che li abita e per scoprirne le meraviglie ed i segreti.

Gli alberi entrano in relazione tra loro, con gli animali e con noi; hanno consapevolezza dell’ambiente in cui vivono, comunicano, intessono relazioni….fanno sesso; sono dotati di vista, tatto, olfatto e non solo… Elaborano strategie di vita, di conquista, di resistenza.Ci assomigliano più di quanto siamo portati a credere… La singola pianta sembra star ferma nel posto dov’è nata, dove ha messo le radici. Ma se osserviamo il gruppo, possiamo notare che gli alberi non solo si muovono in piccoli spostamenti, ma volano e percorrono distanze enormi. Lo fanno con il polline, con i semi grazie all’aiuto degli insetti, degli uccelli, del vento.

Sono entrato da solo nella foresta di Paneveggio in Trentino. Sono entrato in silenzio, quasi in punta dipiedi, come ho fatto molte volte nelle chiese gotiche o rinascimentali. Qui non ci sono colonne, ma tronchi altissimi, non archi, ma fronde che si sfiorano l’una con l’altra a formare un soffitto verde, non rosoni colorati, ma finestre di luce tra un ramo e l’altro.

Il giro del mondo in 80 alberi di J. Drori

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tratto da: Il giro del mondo in 80 alberi

Ambasciatore del W.W.F. per nove anni, amministratore fiduciario dei Royal Botanic Gardens di Kew e del Woodland Trust, Drori racconta storie strane, ma vere, di alberi e del ruolo che da sempre svolgono in ogni aspetto della nostra vita. Sono cresciuto nei pressi dei Kew Gardens, i giardini botanici reali alle porte di Londra. I miei genitori trasmisero a me e a mio fratello la passione per la botanica… Ogni storia di piante faceva parte di un’altra più complessa sugli animali e sugli uomini.

Ottanta alberi e ottanta racconti pieni di fascino e dolcezza, illustrati dalle tavole botaniche di Lucille Clerc, utili perché aiutano il lettore in questo istruttivo e divertente viaggio. Storie di alberi come l’acero da zucchero o del Canada le cui foglie sono impianti chimici che fanno apparire come per magia gli zuccheri dall’anidride carbonica e dall’acqua, usando la luce del sole per innescare la reazione… le cui tonalità gialle o arancioni vengono tenute nascoste dalla clorofilla verde…ma in autunno la clorofilla viene riassorbita e il verde delle foglie scompare e lascia vedere solo l’arancione e il giallo. I lettori veneziani non potranno non restare stupiti e incantati nel leggere la storia dell’ontano che ha contribuito a fare di Venezia la meravigliosa città di oggi e la superpotenza militare che è stata. Con la polvere da sparo ottenuta da carbone di ontano si realizzavano proiettili e palle di cannone con maggiore potenza e velocità. Sott’acqua il legno di ontano mantiene la sua forza comprimente per secoli; per questo iveneziani affidarono a pali in legno di ontano il compito di fondamenta per sostenere pesanti edifici.

Arboreto salvatico di Mario Rigoni Stern

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tratto da: Il giro del mondo in 80 alberi

Oltre ai suoi celebri romanzi di guerra, Rigoni Stern ha scritto storie di uomini ed animali ambientate tra le sue montagne. Questo libro è dedicato agli alberi dei luoghi in cui vive, li descrive uno ad uno con la competenza che gli viene dall’acuta osservazione e dalla frequentazione dei luoghi, ne illustra la storia e le proprietà, ne parla con straordinaria sensibilità, ricordando esperienze personali ed emozioni.

Se incontro un albero sradicato dal vento, o schiantato dalla neve, o roso dal ghiro, o morso dal cervo, provo dispiacere, ma quando vedo una corteccia incisa da un barbaro coltello o un albero tagliato da una scure di frodo provo amarezza e rabbia… Il tiglio: albero di giustizia perché intorno ad esso si riunivano i saggi. Nelle sere d’inverno, dopo cena eprima di coricarmi, una tazza di infuso di fiori di tiglio con un cucchiaio di miele di salvia delle isole dalmate, è un’ottima bevanda che concilia il sonno e agevola la respirazione. Il pino: il pino cembro, o cirmolo, tra gli alberi delle nostre Alpi è il più bello: socievole e sempreverde può arrivare oltre i settecento anni di vita. Dove i fulmini, le valanghe, i sassi feriscono il tronco, assume forme tormentate e inconfondibili. Il castagno: i frutti di quest’albero erano pane quotidiano in molte valli delle montagne dal Caucaso alla Spagna, cibo rituale nella sera dei morti e nel giortno dedicato a S. Martino, abbinandolo al vino nuovo.>>

Le emozioni nascoste delle piante di Didier Van Cauwelaert Romanziere, vincitore del premio Goncourt nel 1994, D. Van Cauwelaert è anche un appassionato esploratore del mondo vegetale. In quest’opera che al tempo stesso riunisce i caratteri di saggio e narrazione, viene raccontata la vita emotiva e relazionale del regno vegetale, facendo riscoprire al lettore l’homo ecologico che è dentro ognuno di noi.

Adulazione, empatia, solidarietà…compassione sono sentimenti non soltanto umani, ma costituiscono i temi e i contenuti per mezzo dei quali avviene la trasmissione del pensiero fra le piante e l’uomo. Le piante reagiscono alle nostre emozioni ed esprimono le loro… Emozione… le piante sono capaci di mettere in pratica un’intera gamma di emozioni quali la paura… la gratitudine… l’astuzia, la seduzione, la compassione… la solidarietà e sanno anche… con mezzi dai più straordinari ai più semplici comunicare quello che provano.

Fonte: Biblioteca Comunale Spinea

La scheda sul percorso

Le leggende

Il Serpente regolo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il regolo è un animale fantastico della Tradizione toscana, umbra, abruzzese, sabina e delle Marche. Si tratterebbe di un grosso serpente, dalla testa "grande come quella di un bambino", che vive per le macchie, i campi e gli orridi dei monti. Secondo una diffusa versione della tradizione, diventa un regolo una viperache, tagliata a metà, non muore, ma cresce invece oltremodo, e diventa molto vendicativa e perseguita tutti coloro che hanno la sfortuna di incontrarlo e ne pronunciano il nome, oltreché nei di colui che l'ha aggredita e mutilata. Secondo altre versioni, una vipera che abbia superato i 100 anni di età diventa un regolo. Il serpente Regolo viene chiamato nella bassa Umbria e nella Sabina in dialetto, lu regulu o u regulu, lu regu o u regu. La sua storia ha ispirato la canzone La tarantella del serpente de I ratti della Sabina.

La tradizione del serpente regolo si riscontra anche in Toscana, dove la tradizione lo vuole come un grosso rettile con squame luminose come di metallo e con due piccole ali.

Il nome regolo rimanda a "piccolo re" ed è un collegamento con la tradizione mediterranea del basilisco (anche questo nome significa "piccolo re"). In alta Garfagnana a Minucciano(LU) si parla di "Regolo dei motri" ("Motro" è un termine dialettale che indica il serpente). Il "regolo dei motri" viene descritto come un serpente con "una testa come un ninin" (una testa come un bambino). Gli anziani spiegavano che si poteva trattare di un serpente che aveva ingoiato un altro animale, ad esempio un topo o un rospo e che quindi fosse rigonfio nell'attesa delle digestione della preda, giustificando così la somiglianza con la testa di un bambino. Collegato a questa spiegazione è anche il termine di Motro Bota' o "biscio boddaio" cioe' serpente che si nutre di "bodde" o rospi. Il Regolo viene interpretato in questa zona come "piccolo re" andando a confermare le interpretazioni provenienti da altre parti d'Italia. La presenza piu'inquietante del Regolo dei Motri è da riferirsi, secondo i racconti popolari, al borgo oggi abbandonato, di Bergiola, sito appunto nel comune di Minucciano (LU). Il Recolo dei Motri qui indicato anche come mostro di Bergiola avrebbe causato proprio lo spopolamento ed il successivo abbandono del borgo stesso. Il mostro per garantirsi la sopravvivenza e il suo misterioso profilo divinatorio, ogni anno, durante la notte più breve del solstizio d'estate, esigeva di accoppiarsi con la vergine più ma feconda del villaggio, pena rabbiose pestilenze in caso d'inadempienza da parte della comunità. Dall'esodo dal borgo di Bergiola passarono molti anni e allorché i disgraziati abitanti si nascondeva un millantatore e approfittatore del luogo, era ormai troppo tardi.

Altre versioni della leggenda parlano di un serpente a due teste, i vecchi di Foligno tramandano ai loro nipoti questa figura mitologica delle amene campagne folignati.

Ad Otricoli, nella bassa Umbria, si tramandano racconti su questo animale mitologico a partire dal dopoguerra. Esiste, addirittura, una grotta che si dice abitata dal rettile: la "grotta degli scudi", nella zona archeologica di Ocriculum (il vecchio abitato romano sulle rive del fiume Tevere), dove il serpente proteggerebbe un aureo tesoro. Si dice che il regolo,u regulu in dialetto locale, usi ipnotizzare (in dialetto viene utilizzato la parola abbafare) i malcapitati visitatori della zona archeologica senza poi però torcere loro nemmeno un capello.

Se volete saperne di più sulla leggenda del Serpente Regolo vi consigliamo la visione di questo divertente video: [2]

La scheda sul percorso

Botro Campo di Sasso

Il Botro Campo di Sasso è un piccolo corso d’acqua che scende dai poggi della Macchia, ha alimentato per secoli diversi mulini per la macinazione dei cereali. A causa del riscaldamento del clima ha diminuito di molto la sua portata ma, se ci attardiamo sul suo letto, possiamo osservare che è ancora molto frequentato.

La Roverella Rutilus rubilio o Sarmarutilus rubilio, noto comunemente come rovella, è un pesce d'acqua dolce, della famiglia dei ciprinidi.

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  • Distribuzione e habitat È una specie endemica dell'area dell'Arno e del Tevere. Si è diffusa in tutto il versante peninsulare tirrenico ed è stata introdotta in alcuni fiumi e laghi del versante adriatico e in Sicilia nonché in alcune acque della Pianura Padana (fenomeno della transfaunazione). Predilige acque con una leggera corrente e ricche di piante acquatiche. Vive anche nei laghi e in torrenti a fondo sabbioso e ghiaioso mentre è rara negli stagni.
  • Descrizione La rovella è allungata, snella. La forma è quella tipica dei Ciprinidi fluviali. La livrea è bruno-gialla: ogni scaglia è orlata di bruno. Le pinne sono sfumate di rosso. La sua lunghezza massima raggiunge i 20 cm per 200 grammi di peso.
  • Riproduzione Il periodo della fregola avviene in tarda primavera, quando agli esemplari maschili si formano i cosiddetti tubercoli nuziali sulla testa. La femmina depone migliaia di uova di circa 1 mm di diametro, che si schiudono in 5-10 giorni, a seconda della temperatura dell'acqua.
  • Alimentazione Ha dieta onnivora, nutrendosi di vegetali, crostacei, vermi ed insetti.
  • Conservazione A causa dell'introduzione di altre specie aliene nel suo habitat (soprattutto altri rappresentanti del genere Rutilus come il triotto ed il gardon, la rovella è minacciata di estinzione in parte del suo areale.

Il Rospo comune (Bufo bufo (Linnaeus, 1758)) è un anfibio anuro della famiglia Bufonidae, diffuso in Eurasia e nel nord-ovest dell'Africa. Il rospo comune è protetto dalla convenzione di Berna per la salvaguardia della fauna minore.

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  • Descrizione È l'anfibio più grande d'Europa, e raggiunge addirittura i 20 cm (zampe escluse). È caratterizzato dalle sue zampe corte e dal muso schiacciato, ma anche dalla sua tipica colorazione marroncina, che può tendere al rossiccio, anche se il ventre tende ad essere biancastro. Il suo colore varia a seconda delle stagioni e dell'età, dal sesso e dall'ambiente in cui si trova, passando dal marrone al rosso e al nero a seconda della situazione. Gli animali della zona meridionale dell'areale tendono ad essere più grandi e con pelle più "spinosa" cioè con verruche più prominenti. Nel suo collo vi sono due ghiandole parotoidi ovali. Queste ghiandole contengono un liquido biancastro irritante per le mucose che può essere secreto in caso di pericolo ed è in grado di ustionare e ferire anche l'uomo. Le pupille del rospo comune sono orizzontali; l'occhio è di color oro scuro o rame.
  • Biologia Prevalentemente notturno, di giorno tende a nascondersi in buche o anfratti, sotto le pietre o comunque in luoghi riparati dalla luce, se minacciato assume una caratteristica posa intimidatoria con la testa abbassata e le parti posteriori sollevate. Rispetto a Bufotes viridis tende a tornare sempre nella stessa pozza d'acqua per riprodursi, a volte percorrendo anche diversi chilometri. Durante questi spostamenti molti individui riproduttori vengono uccisi dalle automobili. A causa di ciò, oltre che alla scomparsa dei siti riproduttivi, questo animale tende a scomparire dalle zone più antropizzate. A differenza di Bufotes viridis, se minacciato non emette spontaneamente il suo liquido difensivo, ma questo fuoriesce se le ghiandole sono stimolate.
  • Alimentazione Si nutre praticamente di qualsiasi cosa riesca ad entrare nella sua bocca: insetti in primis, lumache senza guscio, lombrichi, piccoli vertebrati come ad esempio piccoli topi.
  • Riproduzione Dopo il letargo invernale, in concomitanza con la primavera inizia la stagione degli accoppiamenti: i rospi si recano vicino ai luoghi di riproduzione (solitamente vicino a corsi d'acqua, pozze o stagni) verso l'inizio di marzo e lì i maschi si aggrappano alle ascelle delle femmine, che sono visibilmente più grandi. Questo è il cosiddetto amplesso ascellare, a volte la femmina può essere approcciata da così tanti maschi da restare soffocata e morire. I maschi inoltre, nel periodo che precede la riproduzione sviluppano dei caratteri che saranno fondamentali per l'accoppiamento, come lo sviluppo di calli neri sulle prime tre dita dellezampe anteriori che servono allo scopo di avere una migliore presa sulla femmina, o come il cambiamento che subisce la loro stessa pelle, che diventa più elastica e sottile, per poter assorbire una maggiore quantità di ossigeno dall'acqua, durante l'amplesso, per evitare di rimanere a corto di ossigeno durante le immersioni in acqua della femmina che precedono l'accoppiamento (visto che è la femmina a decidere quando risalire perrespirare). La femmina depone in acqua circa 10 000 uova in un cordone gelatinoso, contemporaneamente le uova vengono fecondate dal maschio. Queste uova poi si schiuderanno, facendo uscire dei minuscoli esserini neri acquatici: i girini. Questi, nutrendosi soprattutto di alghe e altri minuscoli materiali organici, crescono. La temperatura dell'acqua nella zona dove si trovano deciderà la velocità della loro metamorfosi: più è calda l'acqua, più veloce sarà la metamorfosi. Questo perché l'alta temperatura dell'acqua è sintomo che la loro pozza si sta prosciugando. Ai girini spuntano dapprima le zampe posteriori, e successivamente le zampe anteriori: da questo momento iniziano a digiunare, perché il loro apparato boccale (e digerente) si sta trasformando: infatti da onnivori diverranno insettivori. La metamorfosi dura uno o due giorni; il metamorfosando inizia ad assorbire la coda, e nel giro di appunto 24 - 48 ore scomparirà. il neometamorfosato è il più piccolo in assoluto fra gli anfibi: è lungo circa un cm. La sua pelle è ancora liscia per favorire la traspirazione. Digiunerà ancora per circa 4 giorni, dato che utilizzerà come fonte nutrizionale le energie della coda riassorbita.

Da wikipedia

La scheda sul percorso

Il vecchio bosco ceduo

Cosa è la Selvicultura?

La selvicoltura coniuga il prelievo di legno con la perpetuazione del bosco: il ceduo è quella forma di selvicoltura (in termini tecnici si parla di “governo del bosco”) che assicura la perpetuazione utilizzando una caratteristica naturale presente nelle latifoglie e nota fin dalla preistoria: quella di rigenerarsi grazie alla presenza di gemme che vengono attivate a seguito di un impatto traumatico (es: il taglio del tronco).

La ceppaia, la parte basale dell’albero che resta in bosco a seguito del taglio, rimane viva dando vita a nuovi fusti. Questo processo naturale, data la grande longevità delle ceppaie, si può ripetere per numerose generazioni, se l’utilizzazione viene ripetuta a distanza di tempo opportuna. I turni di ceduazione variano, in base alla specie e ai diametri che si vogliono ottenere, dai 15 ai 35 anni. Molto spesso, quando un ceduo viene utilizzato, alcuni alberi, singoli o a gruppi, vengono lasciati in piedi per svolgere diverse funzioni: oggi risulta particolarmente importante quella di tutela della biodiversità.

La pratica della ceduazione è molto diffusa, in particolare, in tutto il bacino del mediterraneo. In Italia i cedui sono molto presenti: essi rappresentano più del 40% dei boschi. Dai cedui si ottiene normalmente legna da ardere o paleria, prodotti molto importanti in particolar modo per le aree rurali

PERCHÉ SI FA SELVICOLTURA?

La selvicoltura è la pratica derivata dalla millenaria interdipendenza tra bosco e uomo. Le conoscenze accumulate nei millenni sono state consolidate nella selvicoltura come disciplina scientifica, sviluppata sullla coesistenza tra funzionalità dell’ecosistema e l’ampia gamma di necessità (materiali, energia, prodotti) della società umana. Le molteplici funzioni svolte dagli ambienti forestali sono essenziali per il benessere della società: se alcune di esse sono garantite anche da boschi in cui non si interviene, molte altre necessitano dell’intervento selvicolturale.

Il Bosco: "Bene comune"

I boschi costituiscono infatti una componente del territorio con caratteri molto particolari: sia dal punto di vista emozionale che in termini materiali essi influenzano il benessere delle comunità del territorio, e non solo. Questo travalica la “proprietà terriera”: in qualche misura il bosco è sempre un “bene comune”. La gestione del bosco, privato, pubblico e collettivo che sia, è il modo con cui la società oggi può cercare di assicurare la tutela di questo bene comune. La gestione include, tra le opzioni selvicolturali a disposizione, anche il non-utilizzo del bosco, come avviene nelle riserve integrali. Ma è tramite le scelte gestionali che si procede a tutelare in modo opportuno i boschi, anche nel caso in cui si valuti necessario per le comunità il prelievo di legname, di legna da ardere, di altri prodotti o un utilizzo, ad esempio, semplicemente ricreativo (la Rete Sentieristica ne è un esempio).

Cosa è un bosco Ceduo? Un ceduo è il risultato di una delle (varie possibili) forme di coltivazione del bosco, conosciuta da millenni dall'uomo, e che si basa su una caratteristicha tipica di molte latifoglie: quella di "ricacciare" (cioè creare nuovi fusti dalla ceppaia) dopo il taglio del tronco principale. Realizzato con le giuste modalità, e nei luoghi idonei, il ceduo permette ai boschi di rigenerarsi molto rapidamente (es: 10 anni per avere piante nuovamente alte oltre 10 metri).

Sono 3,7 milioni gli ettari di Ceduo in Italia. Oltre 20 milioni di ettari in Europa. L'intervento dell'uomo sulbosco, grazie alla tecnica della ceduazione, permette di ottenere legna da ardere (fonte rinnovabile!), paleria e materiali per lavori ed edilizia (sostituisce quelli non rinnovabili: plastica cemento, metalli etc...). Inoltre, il ceduo ha garantito: lavoro, presidio dei territori, evitando lo spopolamento di aree disagiate.

TRA SELVICOLTURA, ASSESTAMENTO E GESTIONE FORESTALE: L'ANALISI DELL'ACCADEMIA DI SCIENZE FORESTALI

Una esaudiente trattazione del 2004, un enciclopedico lavoro edito dalla Accademia Italiana di Scienze Forestali(autori: O.Ciancio, S.Nocentini) ove si analizzano i vari tipi di ceduo e la loro evoluzione egli ultimi decenni percorsi da tanti e profondi cambiamenti. Oggi si guarda al bosco in modo diverso, non solo da parte degli studiosi e dei tecnici ma anche dalla pubblica opinione: tutti sono convinti che si tratti di un grande, prezioso patrimonio delicato e fragile. Ecco perché questo è un testo da leggere per conoscere in dettaglio tutti gli aspetti del complesso tema ed affrontare criticamente i dubbi che esistono tra gli studiosi, tra itecnici, tra i gestori pubblici e privati

Il prezioso trattato può essere scaricato usando questo link in versione PDF, per gentile concessione dell'ASF: [3]

Il Paesaggio: elemento non trascurabile, ma percezione da comprendere

Il ceduo appena utilizzato (tagliato) non offre certo un paesaggio idilliaco dal punto di vista estetico: per questo molte persone - che non conoscono la Selvicultura - possono associare all'attività forestale idee o percezioni di "disboscamento" o "deforestazione" o "sfruttamento non-sostenibile"...

Dal sito: sardegnaforeste

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